Qualche giorno fa mi è passato tra le mani un vecchio articolo di Repubblica uscito in concomitanza alla proposta dell’ex ministro Gelmini di reintrodurre anche alle elementari il voto numerico. L’articolo è datato 19/11/2010 ed è affiancato da una breve intervista al famoso scrittore ed insegnante francese D. Pennac.
Pennac non parla in modo diretto delle modalità di valutazione, ma discute sulla valutazione stessa.
Sostiene che il compito primario di un insegnante non è quello di valutare un alunno, ma di comprenderlo e di conoscerlo; solo in questo modo, infatti, l’insegnamento può passare efficacemente allo studente che si apre, si fida e si mette in gioco. Nei bambini o nei ragazzi più fragili i voti, ricorda Pennac, possono innescare meccanismi perversi portando all’allontanamento psicologico (e in alcuni casi anche fisico) dell’alunno se la relazione con l’insegnante non si basasse sulla comprensione e la vicinanza, ma sulla paura. Tutti sanno infatti che per conoscere veramente qualcuno le domande non sono utili: le domande si fanno per investigare e, di conseguenza, giudicare. Non si percepisce la regola della fiducia e del rispetto ma quella del sospetto. La proposta di Pennac è di dare meno voti e di concentrarsi di più sull’insegnamento al fine di risvegliare i bisogni fondamentali dell’uomo (porsi domande, apprendere, relazionarsi, collaborare) e di sviluppare il piacere della riflessione critica gratuita, senza ritorni valutativi o di altro tipo.
Accanto a questi spunti di largo respiro si affianca l’articolo di Vera Schiavazzi che riassume i pro e i contro del voto in cifre e propone alcuni pensieri di persone che hanno sempre avuto a che fare con il mondo della scuola come P. Mastrocola. Molti si sono schierati contro questa modalità di valutazione perché troppo fredda, fortemente stigmatizzante e favorente la competitività tra gli alunni. Tra i pro ci sono la chiarezza, la semplicità di giudizio e l’assenza di ogni ipocrisia. I bambini si abituano fin da subito “a distinguere tra una cosa fatta bene e un’altra che non lo è” dice la Mastrocola.
Cercherò, partendo da queste tesi, di ricavare qualche cosa di più pratico, perché, alla fine dei fatti che cosa deve fare un’insegnante? Che cosa succede ai bambini e ai ragazzi quando prendono un brutto voto? Cambia qualcosa se questo voto è scritto così :”4” o così: “scarso”? Dalla mia personale esperienza un alunno ha quasi sempre la consapevolezza che qualche cosa non va. Se l’insegnante è sufficientemente obiettiva e giusta gli studenti sanno cosa sbagliano e confrontandosi fra loro sanno molte volte anche quale dovrebbe essere l’obiettivo. Mi è capitato di vedere bambini spaventati sia con i voti scritti in numero che con i voti scritti a parole. Spesso accanto alla paura covano anche rabbia o noia (quando la rabbia viene mascherata), esprimono, inoltre, sempre giudizi negativi circa la materia e sé stessi in relazione alle aree di difficoltà. Mi è capitato altresì di trovare ragazzi e bambini che nonostante i voti negativi provino stima verso l’insegnante e una sincera consapevolezza che i risultati non dipendano dalla “bellezza” o meno della materia ma da qualche incidente di percorso che si può superare con un po’ di applicazione. Credo quindi che non sia la valutazione in sé ad essere d’ostacolo ad una positiva vita scolastica, ne le modalità di espressione della stessa, ma che sia il modo in cui la si propone. Alcuni insegnanti, purtroppo, trasmettono, attraverso il voto, un giudizio che arriva fino alla persona e così capita di fare, spesso inconsciamente, anche ai genitori. Un giudizio di questo tipo non è minimamente costruttivo perché una valutazione deve essere sempre ben legata al lavoro svolto, non a chi lo ha svolto. Quando sento un ragazzo darsi dello stupido capisco che il voto è passato dal prodotto della persona alla persona stessa e questo è deleterio. Come evitare quindi questo errore educativo? Una delle modalità che trovo molto utile è quella di affiancare al voto il cifre (che per legge ci deve comunque essere) un dettagliato elenco degli aspetti positivi della verifica o del compito assieme ad un’attenta analisi degli errori e a dei consigli, se servono, per rimediare e colmare le lacune. Questo trasmette all’alunno che l’insegnante si è impegnato molto a valutare il lavoro e che sinceramente spera che questo serva ad una crescita del suo allievo. Un voto in cifre senza nessun commento costruttivo, o peggio, con dei commenti senza alcun valore propositivo posso far percepire allo studente un disinteresse sbrigativo del professore o del maestro che talvolta sfocia in un po’ di sadismo. Un simbolo di questo tipo facilmente si trasforma anche in uno stigma. Quello di cui hanno bisogno gli studenti, quindi, non è l’assenza o meno della valutazione, ne il modo in cui questa si esprime, ma è la chiara percezione che l’insegnante si interessi a loro come persone e che creda in una loro riuscita, sempre e comunque.