Oggi Homer, in uno dei soliti suoi rocamboleschi incidenti, si è rotto la mascella. Il dott. Hibbert gli ha prescritto una dieta senza cibi solidi e gli ha sistemato il tutto con un supporto che non gli consentiva di parlare in modo comprensibile. Ad Homer si profilava un cambiamento di vita sostanzioso: lontananza dal suo amato cibo e silenzio. La cosa all’inizio lo preoccupa molto e i primi giorni sono durissimi. Cerca persino di infilarsi una bistecca nel naso pur di mangiarla in qualche modo. Tuttavia, il silenzio forzato e una riacquistata leggerezza fisica gli fanno scoprire degli aspetti della sua vita che gli erano del tutti nascosti. Prima dell’incidente non aveva mai provato ad ascoltare la moglie Marge, ne Bart o Lisa. Non si era mai preso il tempo di dare la pappa a Maggie. Era troppo preso da sé stesso. Ora con la sua lavagnetta comincia a scrivere delle domande ai suoi cari solo per ascoltarne i racconti della giornata. Semplicemente domanda e ascolta. Non riesce a ribattere, se non con brevi frasi. Si siede e scopre che la vita in famiglia non è poi così male. Anche i figli e la moglie scoprono un uomo nuovo, più sensibile ed attento e cominciano a cercarlo, a renderlo partecipe. E’ un circolo virtuoso che porterà ad un cambiamento globale di tutto il menàge familiare. Una volta guarito, Homer, riesce a mantenere il cambiamento positivo senza intaccare la nuova tranquillità. Alla fine però, tutto torna come prima: Marge non ne può più della nuova vita noiosa e spinge Homer a tornare l’Homer di sempre, quello che appassiona tutti noi esorcizzando molte delle nostre debolezze.
La prima riflessione che questa puntata de “I Simpson” mi ha suggerito è legata al tema dell’ascolto. In psicologia l’ascolto è una tematica importantissima. Nel caso della psicoterapia rogersiana questo, non è solo la base della relazione, ma una vera e propria tecnica. Carl Rogers, infatti, scoprì, lungo la sua carriera, che più di tutte le tecniche che durante gli studi gli erano state insegnante, l’ascolto attivo era risolutivo. Un problema molto discusso in psicologia è quanto, durante le sedute, sia pesante l’influenza delle credenze, dei valori e del percorso formativo del terapeuta. In alcuni casi queste portano a dei cambiamenti forzati o non duraturi, inoltre, possono impedire l’aggancio del paziente, il quale quando non si sente accolto si defila. L’ascolto attivo consiste nell’accogliere senza mai giudicare, interrogare o interpretare le parole del paziente. Quello che deve fare lo psicologo, soprattutto all’inizio della terapia, non è altro che rimandare dei messaggi di comprensione e presenza. Solo in questo modo, ritiene Rogers, la persona può far emergere il vero sé, quando cioè si sente accettata e ascoltata in modo incondizionato. Spesso, infatti, durante la propria vita gli individui non vengono accettati per quello che sono e quindi nascondono la loro essenza dietro a maschere che alla lunga portano sofferenza e disagio. Come tecnica psicoterapica l’ascolto attivo potrebbe sembrare deludente, tuttavia ascoltare, aprendo la propria mente all’altro, mantenendo l’attenzione e annullando i propri pregiudizi non è per nulla facile e richiede molto esercizio e disciplina interiore. Homer, in un certo senso, ha fatto quello che Rogers raccomanda a tutti i suoi studenti di psicoterapia: ha cambiato il modo di rapportarsi con gli altri, lasciandolo loro lo spazio di mostrarsi nella loro essenza. La cosa incredibile è che, non solo ha reso più felici le persone che lo circondavano, ma che facendolo non ha rinunciato per nulla a sè stesso, anzi, la vita ha ripreso colore ed è tornata interessante come non mai. Il vero ascolto perciò rimane una delle cose più importanti nelle relazioni umane, ciò che le rende costruttive e soddisfacenti per tutti.
La seconda riflessione riguarda il modo in cui si può imparare ad ascoltare. Nella vita quotidiana molte persone non si sentono ascoltate, ma esse, per prime, spesso sono quelle che non ascoltano. Molte si rendono conto di non saper ascoltare e, anche se si ripetono che devono riuscirci, alla fine non ce la fanno. Durante i miei studi ho avuto modo di apprendere diversi esercizi utili a stimolare questo apprendimento, che, più di una tecnica, è una condizione mentale. Talvolta però mi accorgo che nella vita quotidiana questi sono difficili da applicare e che al di fuori di contesti ben definiti è facile cadere nelle vecchie abitudini. Quando il tempo è sempre poco e le cose da fare molte, le vecchie abitudini sono quelle che emergono e ci guidano. Quello che ha vissuto Homer allora potrebbe venirci in aiuto? Sperimentare un periodo di silenzio, anche solo di una giornata potrebbe farci ritrovare il giusto atteggiamento davanti all’altro e davanti a noi stessi? A mio parere potrebbe essere interessante scoprirlo. Fare esperienza di qualcosa è più utile che studiarlo nei libri perché si fissa nella memoria, non solo psichica ma anche corporea e soprattutto relazionale.
La terza e ultima riflessione riguarda la circolarità del cambiamento. Di come una piccola esperienza, un breve mutamento nei comportamenti di un singolo individuo possa riuscire innescare cambiamenti profondi all’interno di un sistema relazionale intero come quello familiare o, per esempio, quello lavorativo. Ciò mi rincuora perché significa che tutti noi possiamo fare molto per tutti. Noi siamo sempre parte attiva, anche quando sembra che il problema sia altrove. E’ Marge, infatti, che alla fine sceglie di preferire la vecchia routine. Evidentemente era lei che amava certi lati negativi di Homer che erano per lei indispensabili.